Assoluzione piena per l'ex sindaco di Rivarolo Canavese, Fabrizio Bertot, e tanti dubbi sul commissariamento del Comune. Il settimanale «Panorama» (pubblicato da Mondadori) ha dedicato un intero servizio, nel numero ancora in edicola in questi giorni, sullo scioglimento del consiglio comunale di Rivarolo Canavese per infiltrazioni mafiose. Riportando dichiarazioni di parlamentari del centrodestra pronti a chiedere chiarezza su quanto accaduto dopo l'operazione Minotauro. Rivarolo, infatti, venne commissariato nel 2012 senza che nessun amministratore in carica fosse indagato per 'ndrangheta. Il segretario generale, Antonino Battaglia, lui si finito sotto inchiesta e arrestato dai carabinieri, ha visto derubricato il reato mafioso dalla Corte di cassazione in reato elettorale semplice. Da qui i dubbi sull'operato dell'allora commissione d'indagine e sull'allora ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri.
Dubbi palesati dal settimanale e rimarcati (oltre che dall'ex sindaco di Forza Italia) anche dal vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri che, al giornale, dichiara: «C'è stato un approccio superficiale, non ci sono stati riscontri adeguati, sono mancati i controlli e l'intera procedura ha dimostrato limiti pesanti». Sempre nel Pdl, Mariastella Gelmini ha anche presentato un'interrogazione parlamentare per chiedere conto di quanto avvenuto a Rivarolo. Dubbi espressi (in senso più generale) anche dal senatore Pd, Stefano Esposito che, secondo quanto riporta Panorama, conferma che «la normativa sugli scioglimenti andrebbe rivista se si vuole contrastare la mafia in modo davvero efficace».
Insomma, anche in parlamento si torna a discutere di Rivarolo Canavese e del suo commissariamento per mafia. L'associazione OpenPolis che si occupa di «open government», nel suo dossier ha rilevato che dal 1991 al 2014 sono stati sciolti per mafia 258 Comuni in tutta Italia. «Il dibattito sulla materia è sempre molto acceso, specie per il suo notevole peso sulle dinamiche politiche dell'ente locale». Particolarmente significativo è stato l'arrivo del governo tecnico guidato da Mario Monti nel 2012, quando i decreti di scioglimento per infiltrazioni mafiose sono aumentati del 380%. Tra questi anche quelli di Rivarolo e Leini.
Di diverso avviso, invece, Libera, l'associazione di Don Ciotti che ha pubblicato, nei giorni scorsi, una «risposta» all'uscita di Panorama, andando a rileggere la sentenza della Corte di Cassazione. «La decisione di derubricare il reato è frutto di un’interpretazione del nuovo 416 ter, approvato dopo la commissione del reato di Battaglia. Si legge, nel merito, quanto segue: “In conclusione deve ritenersi che nel caso di specie, nel quale, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, non vi fu, a fronte della promessa, effettiva erogazione della somma richiesta, non risulta ravvisabile il reato contestato nella formulazione vigente al momento della condotta”.
In sostanza, l’imputato non è stato condannato per 416ter perché, al momento della commissione del reato, la norma esistente prevedeva lo scambio voti a favore di denaro, mentre nella nuova formulazione è sufficiente che ci sia la promessa del pagamento. Ma quale sarebbe la condotta di Antonino Battaglia? Nelle carte si ricostruisce il “patto” siglato dallo stesso Battaglia e da Macrì (anche per lui è il reato è stato derubricato) con Giuseppe Catalano, boss della ‘ndrangheta a Torino, per portare voti a Fabrizio Bertot, candidato alle Europee del 2009.
L’ex segretario era consapevole a chi stesse chiedendo aiuto per l’elezione di Bertot. La Cassazione conferma: «La ricerca dei voti costituiva il precipuo interesse dell’azione e che peraltro fin dall’inizio era stata individuata quella rete dei calabresi, con la consapevolezza che la stessa avesse implicazioni malavitose, legate a quel tipo di fratellanza». Libera aggiunge anche un'importante postilla, interamente dedicata all'ex sindaco di Rivarolo. «Fabrizio Bertot, invece, mai indagato per nessun tipo di reato, è stato il beneficiario del patto . Presente al pranzo elettorale tenuto al Bar Italia, con il ghota della ’ndrangheta, secondo la sentenza di Cassazione era consapevole del bacino elettorale a cui stava chiedendo sostegno perché era “interessato ad avvalersi della rete dei calabresi e peraltro consapevole per sua ammissione del fatto che laria Giovanni era a sua volta un noto malavitoso».