Nel Canavese del campanilismo sfrenato, suona come rivoluzionaria l'idea del Comune di Ivrea di puntare a una fusione con gli altri 57 Comuni dell'eporediese. Una maxi municipalità per oltre 100 mila abitanti, capace di estendersi su un territorio di 500 chilometri quadrati con, al centro, la città dell'Olivetti. Si farà? Nel resto d'Italia e (soprattutto) in Lombardia le fusioni sembrano funzionare. L'anno scorso i lombardi hanno concretizzato dieci fusioni tra Comuni. La Toscana è seconda con sette, poi l’Emilia Romagna con quattro, Marche e Veneto con due e Campania con una fusione.
L’Ami, acronimo di Anfiteatro morenico di Ivrea, che ha proposto la fusione anche per il territorio di Ivrea, punta a ridurre le spese dei singoli Comuni, unendo i servizi basilari e godendo, unendo il territorio, e all’ esclusione dei vincoli economici imposti dal patto di stabilità che oggi strozzano i bilanci dei Comuni (grandi e piccoli). In ogni caso quello che vuole tentare l'Ami è il più grande esperimento in Piemonte. Ieri a Ivrea c'era Piero Fassino, sindaco di Torino e della città metropolitana e, soprattutto, presidente dell'Anci.
«Quella della fusione è la strada corretta ma deve essere per forza un processo graduale che coinvolga il territorio di riferimento - ha detto Fassino - il progetto deve prima dimostrare l’effettiva convenienza. Credo possa essere necessario un referendum per chiedere ai residenti la volontà di fusione». I sindaci dell'eporediese, ovviamente, guardano con scetticismo alla proposta partita da Ivrea. Per molti è impensabile accorpare un territorio così vasto. Inoltre che fine farebbe la (sterile) autonomia dei Comuni? «Meglio iniziare a fondere i Comuni vicini a Ivrea e poi, eventualment, procedere con quelli lontani».