CASTELLAMONTE - Nel piccolo paese di Introd, in Val d'Aosta, che negli anni '80 e '90 Papa Giovanni Paolo II scelse più volte per le vacanze estive, Eleonora, una giornalista di un importante quotidiano nazionale, cerca di chiudere un pezzo giornalistico su Karol Wojtyla e sul suo profondo legame con le montagne, in occasione del centenario della nascita. Ad Introd la cronista viene in contatto con l’associazione culturale piemontese Memoria Viva che raccoglie nella sua banca dati decine di storie di sopravvissuti all'Olocausto. Incuriosita, Eleonora sofferma la sua attenzione sulla vicenda di Lidia Maksymowicz, oggi elegante signora ottantenne che vive a Cracovia. Inizia così il film “La bambina che non sapeva odiare” del regista Giambattista Assanti che uscirà nel gennaio 2021 ma che sarà presentato giovedì 2 luglio all’Istituto italiano di cultura a Cracovia e sabato 4 luglio a Castellamonte, per iniziativa del Club Turati, presieduto dal senatore Eugenio Bozzello, e dell'associazione La Memoria Viva onlus di Castellamonte. In Italia la presentazione sarà online, per rispettare le norme di prevenzione del Covid-19 che limitano gli eventi pubblici. La Città Metropolitana di Torino ha concesso il suo patrocinio all’evento, in considerazione del grande valore della testimonianza di Lidia Maksymowicz, raccolta da Assanti nel corso dell’intervista che il regista ha trasformato in un vero e proprio film.

Lidia Boczarowa venne deportata ad Auschwitz quando aveva solo 4 anni. Viveva con la madre ed i nonni in una zemlijanka nei boschi della Bielorussia. La zemlianka è un fossato scavato nella terra dove vengono custodite le patate per l’inverno. Il suo villaggio era stato infatti bruciato due anni prima durante l’avanzata nazista. Durante la ritirata, nell’autunno del 1943, i nazisti condussero molte retate nella regione di Vitebks contro i partigiani. In una di queste retate Lidia e la famiglia vennero arrestati e condotti nella prigione di Vitebks. Nel dicembre del 1943 partirono in treno alla volta di Auschwitz. Sulla rampa i nonni vennero destinati alle camere a gas, mentre Lidia e la mamma vennero registrate. Lidia non venne però assegnata alla baracca della madre, ma a una baracca di soli bambini. Lidia inizia a vedere la madre sempre più di rado, sino al punto di non riconoscerla più. Dimentica il russo e parla solo una lingua del campo, misto tra tedesco, russo e polacco. 

Pochi giorni prima della liberazione la madre la raggiunge trafelata ed inizia ripeterle come mantra: «Ricordati, tu ti chiami Ludmila Boczrowa, sei bielorussa. Non te lo dimenticare!». La madre parte con le marce della morte. Il giorno successivo alla liberazione una famiglia di Oświęcim entra nel campo. Vede questa bambina sola e se la porta a casa. Uscendo dal campo la nuova mamma dice a Lidia che sicuramente la madre naturale è morta nel campo e che lei si prenderà cura di Lidia. La piccola quindi si convince della morte della madre naturale. Quando Lidia ha 16 anni un'amica della scuola la convince a cercare la sua madre naturale. Lidia scrive quindi decine di lettere a varie istituzione, come la croce rossa internazionale. Solo dopo tre anni riceve una lettera in tedesco, nella quale la si informa che la madre naturale è ancora in vita. La madre venne infatti deportata a Bergen Belsen e lì liberata dagli americani. Subito chiese il permesso, nonostante le condizioni fisiche, di tornare ad Auschwitz per recuperare la bambina. L’ufficiale americano la mise in contatto con il suo omologo sovietico il quale affermo che ad Auschwitz ormai non c’erano più bambini in quanto il campo era stato liberato ormai tre mesi prima e che tutti i bambini erano stati portati negli orfanotrofi in Russia. La donna torno quindi in Russia e per 20 anni cerco questa bambina senza mai trovarla. A causa della guerra fredda infatti ovest ed est difficilmente si parlavano e gli archivi non erano tra di loro coordinati. Una volta messe in contatto, nel 1962, la propaganda russa organizzò un incontro a Mosca dove per la prima volta Lidia rivide sua madre.

La lavorazione del film è iniziata a marzo, sarà girato in autunno e l’anteprima è prevista per il 27 Gennaio 2021 a Roma e a Cracovia. All’incontro online del 4 luglio,  saranno presenti il produttore Claudio Bucci, il regista Giambattista Assanti e l'attrice e Ambasciatrice de La Memoria Viva Daniela Fazzolari. Il progetto è quello di portare sul grande schermo la vera storia di Lidia Maksymowicz, oggi elegante signora ottantenne che vive a Cracovia, ma che nel 1942 ad Auschwitz, a soli 2 anni, fu prigioniera nel campo dove il dottor Mengele, meglio conosciuto come "l'angelo della morte", effettuava i suoi folli esperimenti sui bambini ebrei. La madre, costretta a partecipare ad una marcia della morte, promise e giurò alla bambina che un giorno sarebbe tornata a prenderla. Il titolo del film nasce da una frase che Lidia ripete in ogni occasione: «Se dovessi vivere pensando ad odio e vendetta farei un danno a me stessa e alla mia anima, e sarei io quella malata: l'odio ucciderebbe anche me».