La felicità? È un diritto riconosciuto dall’Assemblea Generale dell’ONU, che il 28 giugno del 2012 – senza un motivo apparente – ha stabilito che ogni anno, nella stessa data, il mondo celebri la “Giornata Internazionale della Felicità”.
La risoluzione è stata proposta dal Bhutan, Paese che ha anteposto il valore della felicità al reddito nazionale fin dai primi anni ’70 adottando come indice di sviluppo il “FIL” (Felicità Interna Lorda) al posto del più noto PIL. In pratica, invece di misurare consumi, investimenti ed esportazioni, si prendono in considerazione sia i parametri tradizionali in campo economico ma con l’aggiunta di aspetti sociali come salute, istruzione e benessere psicologico della popolazione.
Al di là dello sforzarsi di provare qualche scampolo di felicità, lo scopo della giornata è alzare l’attenzione sull’importanza della felicità e del benessere, aspirazioni considerate fondamentali nelle vite degli esseri umani di tutto il mondo.
Certo, in un periodo di guerre e tensioni geopolitiche internazionali, c’è ben poco di cui essere felici, e ancora di più in Italia, Paese che lo scorso anno è scivolato al 41esimo posto della classifica dei Paesi più felici al mondo stilato da 12 anni dal World Happiness Report.
In vetta, come sempre, la Finlandia, seguita dalla Danimarca al secondo e l’Islanda al terzo. Giù da podio, ma comunque in una posizione invidiabile, la Svezia e la Norvegia.