Ufficialmente si chiama “cartellino disciplinare” ed è giallo oppure rosso: sono i due strumenti a disposizione dell’arbitro nel calcio. Il primo, l’ammonizione, è una sorta di avvertimento per diversi tipologie di comportamenti antisportivo. Con il secondo giallo durante la stessa partita, scatta l’espulsione. Con quello rosso, al contrario, si finisce direttamente negli spogliatoi.
Ma nessuno, finora, aveva mai pensato di aggiungere un terzo cartellino, almeno fino allo scorso fine settimana, quando nello Stadio da Luz di Lisbona, durante l’incontro tra Benfica e Sporting Lisbona femminile, l’arbitro Catarina Campos ha scritto un nuovo capitolo di questa storia. Mentre le padrone di casa conducevano per 3 reti a zero, un tifoso sugli spalti ha accusato un malore e gli staff medici di entrambe le squadre si sono immediatamente precipitate verso le tribune per soccorrerlo. L’uomo è stato stabilizzato e trasportato in ospedale da un’ambulanza, consentendo all’arbitro di far riprendere il gioco, ma non prima di aver estratto un cartellino bianco indirizzato verso le due panchine. Nulla che possa influenzare una partita, ma comunque un gesto a disposizione dell’arbitro per segnalare una condotta corretta ed etica. In una sola parola: il fairplay.
A ideare i giallo e il rosso a disposizione degli arbitri fu Ken Aston, arbitro a su volta, che nel 1966 durante i Mondiali ospitati nel suo Paese, prese semplicemente ispirazione dai semafori per indicare in modo plateale le decisioni prese sui giocatori. Prima di allora le espulsioni c’erano eccome, ma il tutto avveniva soltanto con una serrata discussione fra giocatore e arbitro: con il gesto del cartellino, tutto lo stadio è in grado di capire cosa succede in campo. Da allora, la doppia segnalazione fu adottata dalle federazioni di diversi Paesi, debuttando in Italia nella stagione 1973-74.