Ci sono popoli che, almeno quando serve, marciano compatti, specie se si tratta di difendere i propri diritti. Lo scorso 24 marzo, ad esempio, in Svezia è scattata una vivace protesta contro l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari nei supermercati. Grazie ad un tam-tam mediatico che ha viaggiato attraverso Facebook, Instagram e TikTok, migliaia di persone hanno deciso che per 7 giorni non avrebbero messo piede nei punti vendita di catene come “Ica”, “Coop”, “Lidl”, “Willys” ed "Hemköp”.
Lanciata da slogan come “Non abbiamo nulla da perdere, ma tutto da guadagnare”, la protesta, ribattezzata “Bojkotta vecka 12”, è nata da un costante aumento dei prezzi degli alimentari dal 2022 in poi, con un incremento della spesa annuale per le famiglie svedesi stimato in 30mila corone, circa 2.750 euro.
Secondo l'agenzia governativa “Statistics Sweden”, che sta monitorando la situazione, un pacco di caffè sfiora le 100 corone, quasi 10 euro, un quarto in più rispetto all'inizio dello scorso anno, mentre i formaggi sono cresciuti del 6,4% e i latticini del 5,4%.
L’opinione comune è che l’aumento dei prezzi rappresenti un “oligopolio” fra supermercati e produttori, liberi di pensare ai profitti grazie alla mancanza di concorrenza, mentre le aziende della grande distribuzione, respingendo le accuse, danno la colpa fattori esterni come guerre, incertezza geopolitica, prezzi delle materie prime ed emergenza climatica.
Ma la portata di Bojkotta vecka 12 è stata così impattante da costringere il governo ad rassicurare gli svedesi assicurando che la stabilizzazione dei prezzi è una “priorità assoluta” dell’esecutivo, che si è messo immediatamente al lavoro per individuare una nuova strategia per il settore alimentare.
Ma la Svezia non è l’unico Paese dove i consumatori sono sul piede di guerra: in Bulgaria, nelle scorse settimane, una campagna di boicottaggio simile è riuscita a fare calare del 30% il fatturato della grande distribuzione, e lo stesso è accaduto in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia.