IVREA - Riceviamo e volentieri pubblichiamo la dettagliata risposta che ha inviato alla nostra redazione Francesco Gioana, tirato in ballo sul carnevale, nei giorni scorsi, da una lettera di Gabriella Gianotti e Danilo Zaia.
«Chiamato personalmente e direttamente in causa dalla lettera aperta inviata “urbi e orbi” da Gabriella Gianotti e Danilo Zaia in cui mi si indica come l’unico, solo e vero responsabile del degrado culturale del Carnevale, dell’occultamento dell’esistenza del “carnevale contadino” e di chissà cos’altro, mi vedo costretto a rispondere non solo per la ridicolaggine di certe affermazioni, ma anche nel merito di certi riferimenti storici falsi e molto mal connessi. Perché l’errore di fondo dei miei due “grandi accusatori” (il riferimento è pacificamente all’Inquisizione) è che non bisogna mai adattare i documenti ai propri convincimenti personali quanto invece modificare il proprio credo in base ai documenti trovati (ma soprattutto fondamentale è leggerli, possibilmente con una certa attenzione, prima).
1. Tanto per chiarire l’antefatto, i “Citoyens de la Ville d’Ivrée” nascono nel 1999 con la mia solitaria partecipazione in abito d’epoca rivoluzionaria al Carnevale di Ivrea, non certo per sfilare nel corteo, ma per sottolineare la presenza e dare visibilità a una componente che ritenevo e ritengo fondamentale quanto dimenticata: i “cittadini eporediesi e non” che indossando il rosso berretto frigio fanno ala ai personaggi e si riconoscono, così, parte dell’intera comunità carnevalesca. Citoyen-cittadino tra i cittadini.
2. Gli anni di riferimento sono quelli intorno al 1795, per sottolineare fin da subito che il 1808 come atto di nascita del Carnevale, allora gambonianamente imperante, era una bufala. La donazione dell’Albero della Libertà al Sindaco sarebbe arrivata qualche anno dopo.
3. Quanto ai riferimenti storici, Francesco Carandini scrive a p. 186 de la Vecchia Ivrea: “Ancora spigolando fra preziosi appunti dell’amico De Jordanis, trovo che il 9 dicembre del 1798, verso sera, fu piantato in Piazza del palazzo di Città l’albero della libertà, e dalla Storia della Monarchia piemontese di Nicomede Bianchi (volume III, p. 137) apprendo che, in quell’occasione, i patrioti armati perquisirono le case dei nobili per fare incetta di pergamene da bruciare ai piedi dell’albero, al quale appiccarono una statua di gesso di Carlo Emanuele IV, lasciandovela appesa per tre giorni. Ad un busto di Vittorio Emanuele III fu spiccato il collo con un fendente di sciabola, ed altri ritratti ad olio di Principe di Savoia furono fatti in pezzi e violentemente sbattuti contro l’ albero della libertà”. E poco oltre: “...trovo che il Circolo patriottico di Ivrea si accontentava, come molti altri, di declamazioni furibonde, ma innocue, contro i tiranni, gli aristocratici ed i preti. La tribuna era libera tutti, vi arringavano operai, preti, frati, torcileggi, attaccabrighe, faccendieri e donne”. In tempi più recenti l’avvocato Domenico Forchino così raccontava la giornata del 23 frimaio: “Ad Ivrea, infatti, il 12 dicembre di quell’anno, senza resistenze e senza campane a martello viene eletta e insediata la nuova municipalità repubblicana. L’antica amministrazione con il sindaco Pietro Marco se ne è andata in sordina, non senza aver cura di mettere le guardie alle porte della città e dare essa stessa, con insospettabile eccesso di zelo, disposizioni in merito all’albero della libertà che viene eretto il 13 dicembre 1798 (23 frimaio anno settimo della Repubblica Francese e primo della Libertà Piemontese) con discorso augurale pronunciato dall’avvocato Pietro Giglio”.
Quindi quella è stata una piccola rivoluzione (come tutte e sempre messe in atto da una ristretta élite, l’avanguardia rivoluzionaria: il “popolo” è sempre arrivato dopo, quando è arrivato). Rivoluzione che non ha visto grandi atti di violenza se non lo sfregio dei “re oppressori” nei loro ritratti, probabilmente qualche contuso, ma certamente nessun morto. Ben diversa è la fantasiosa narrazione semi-apocalittica di Gianotti-Zaia che descrivono quella come un’azione da Gestapo-giacobina che oltretutto viene arbitrariamente e scorrettamente da loro legata senza soluzione di continuità alla rivolta degli zoccoli e all’uccisione di “cento-trecento rivoltosi”(!) da parte dei francesi, come se la miccia fosse stata accesa (sempre secondo loro due) dal piantamento dell’Albero di tre anni prima. È lo stesso tipo di connessione eterodossa e retroattiva che, in America, vuole abbattere le statue celebrative di Cristoforo Colombo perché ritenuto primo responsabile dello sterminio dei “pellerossa”, nativi americani. Mi dispiace, credo sia molto più attendibile quanto scritto dagli storici Francesco Carandini e Domenico Forchino. Quella condanna non solo non la condivido, ma la ritengo assurda, moralmente sbagliata e storicamente inaccettabile.
Quindi continuo a credere che celebrare, da parte dei Citoyens, l’innalzamento dell’Albero della Libertà a Ivrea nel 1798, sia più che giusto. È un ricordo bello e molto significativo per la città e il suo Carnevale: in primis per gli ideali di libertà che la Rivoluzione francese portava, in secundis per la presenza su quel “faggio di fervido patriottismo” di “melaranci ossia portogalli” (che era ed è un chiaro segno del destino per Ivrea) e ancora per il fatto che lo scarlo (proprio quello propiziatorio, che esisteva ben prima che il carnevale nascesse) viene riconosciuto e paragonato ai fuochi di gioia e all’Albero della Libertà come “momento civico” libertario. È un vero giro di boa per il Carnevale.
4. Prendo anche atto che negli scaffali di Gabriella e Danilo devono mancare tantissimi numeri della rivista “La Diana” o se li hanno non sono stati neppure sfogliati perché se lo avessero fatto non potrebbero affermare che abbiamo scritto solo del Carnevale Ottocentesco: non c’è argomento carnevalesco che non sia stato trattato, soprattutto da Franco Quaccia, nei nostri trentatré fascicoli, portando sempre la documentazione storica esistente e spesso trovandone di inedita.
Abbiamo sempre combattuto contro il mito del 1808 ed esaltato i suoi otto secoli di storia. Quanto agli Abbà cinque-seicenteschi, facenti parte dei riti religiosi rimando agli articoli di Franco Quaccia su La Diana (nn. 12/2003 e16/2007).
Per quanto riguarda la questione “carnevale contadino” e “carnevale cittadino”, tre importanti docenti universitari (Febo Guizzi, Gian Savino Penevidari, Roberto Leydi) ritengono che quello di Ivrea sia tipicamente “cittadino”. In particolare Febo Guizzi al convegno dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma aveva aperto il suo intervento con con un incipit lapidario: “Il Carnevale di Ivrea è un Carnevale urbano e da qui discende tutto il resto”. Perché Ivrea è città fin dalla sua fondazione come colonia romana (100 a.C.) come sottolinea il nostro Franco Quaccia. Pare quindi essere “contadino” solo per Gianotti-Zaia.
Voglio anche ricordare due cose significative: “Il Compendio Storico” che visualizza graficamente in maniera sintetica“tutta” la storia del Carnevale e che è stato distribuito in 18.000 copie dai “Citoyens” nelle scuole, e aver fatto approvare dalle Componenti un documento in cui si definiva finalmente il Carnevale eporediese come “bene della cultura immateriale, patrimonio della città e del suo territori”. Un par de ciufoli è quindi “la retorica monotematica” che ci viene attribuita. Gianotti-Zaia, tanto per cambiare, travisano la realtà e affermano il falso.
5. D’altra parte “La Diana” è null’altro che una rivista che riporta quello che la redazione ritiene sia interessante da pubblicare, ma è anche l’unica voce, ripeto unica, che da più di trent’anni ha parlato incessantemente della “storia del Carnevale” e che ha cercato di valorizzare quell’aspetto in tutto il suo arco temporale: nessun altro lo ha fatto!
6. Fondamentale è anche sottolineare che non abbiamo mai avuto compiti relativi alla gestione del Carnevale, ne’ di tipo organizzativo, ne’ culturale quindi tutte le carenze lamentate dai due sono eventualmente di esclusiva pertinenza della Fondazione (e prima del Consorzio). Il sottoscritto Francesco Gioana non ne ha mai fatto parte, Gabriella Gianotti invece sì: e cosa lei ha fatto negli anni in cui era responsabile di quel settore? meno di nulla. Anzi ha reiterato gli stessi errori che oggi mi attribuisce. Quindi non rifacci a me quelle “omissioni e distorsioni” che lei non ha saputo o voluto correggere quando operativamente era nella possibilità di farlo. Si assuma le sue responsabilità e non indichi me come capro espiatorio.
D’altra parte nessuno dei carnevalanti (meno che mai i nostri due) ha mai eccepito (anche solo flebilmente) sugli errori storici, sulle storture, sulle deroghe che gli organizzatori “padroni del vapore” hanno compiuto in tutti questi anni, nonostante le nostre sollecitazioni a cambiare rotta. D’altra parte tutti i partecipanti e addetti ai lavori, nessuno escluso, si sono sempre inginocchiati deferenti ai presidenti/dirigenti/padroni della festa, servili e sempre consenzienti pur di restare nel “cerchio magico” del potere.
7. Infine Gianotti-Zaia se avessero voluto avrebbero potuto tranquillamente presentare la ricerca sulle feste ancestrali su La Diana, come Danilo aveva fatto anni fa scrivendo del carnevale di San Grato o come ha fatto Zamuner quest’anno. Evidentemente hanno ritenuto che avrebbero avuto maggior visibilità e risonanza sparando a zero su bersagli più facili e fragili come i Citoyens e il sottoscritto.
Detto questo, non tornerò più su questo argomento, che ho trovato veramente assurdo, campato in aria, inutile, penoso, e avvilente. Qualunque cosa il duo Gianotti-Zaia si inventerà per continuare questa polemica e per ribadire la loro convinzione di essere gli unici e i migliori storici su piazza e portatori della più fulgida verità, non mi vedrà più partecipe. Io chiudo qui, perché a me basta e avanza così». Francesco Gioana