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IVREA - Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata alla nostra redazione da Gabriella Gianotti e Danilo Zaia sulla storia del Carnevale di Ivrea. In merito al tema del Carnevale Gabriella Gianotti ha pubblicato, fra l'altro: -.Il getto delle arance nel Carnevale di Ivrea (in collaborazione con Franco Quaccia) - La festa dello Scarlo (in collaborazione con Franco Quaccia)- Eporedia libera (sul ruolo avuto dalla goliardia nella festa) - Diversi volumi riguardanti “le voci del Carnevale” (la Mugnaia, il Comitato, ecc.). Danilo Zaia ha pubblicato, fra l'altro: -Dalla Paura alla vanità. Storia del Carnevale di Ivrea - Carnevali dimenticati – l'epoca d'oro delle fagiolate - ed il recente: Approfondimenti sulla storia del Carnevale di Ivrea.

«Una delle cose belle del nostro Carnevale consiste nella possibilità di poter sperimentare nuovi modi di interpretarlo. Ogni anno abbiamo vistosi esempi di sperimentazioni che generano nuove forme di ricreazione. Abbiamo “inventato” di tutto: dalla leggenda alle narrazioni delle singole figure sino a trasformare un “gioco” fra ragazzi in una spettacolare ed apprezzata battaglia delle arance che “dovrebbe rappresentare la rivolta del popolo contro il tiranno”. E' il bello e la forza del nostro Carnevale. Così facendo però abbiamo finito col perdere il senso delle nostre radici che in questo caso non risiedono in una festa, in un momento di divertimento, ma affondano in riti (documentati) nati nel mondo contadino. Sminuirli implica non riconoscere e capire quanto la Mugnaia, il Generale, gli Abbà e lo Stato Maggiore abbiano subito profonde trasformazioni perdendo il loro originario spirito religioso e diventando un elemento della festa.

Noi abbiamo sempre apprezzato Francesco Gioana per il suo entusiasmo, un po' meno per i suoi toni da fustigatore di costumi e “correttore” di false interpretazioni. Ma chi si pone in tale ruolo finisce con l'inciampare lui stesso. Lui ed il gruppo dei Citoyens raccontano di rappresentare il simbolo della libertà, il popolo che il 13 dicembre 1798 piantò l'albero della libertà nella città di Ivrea. Purtroppo non raccontano cosa accadde veramente quel giorno. Uno dei giorni più tristi della storia bimillenaria della nostra città che vide un gruppo di giacobini entrare con violenza dentro le case dei loro rivali politici, picchiare (non sappiamo se ci scappò il morto) e rubare documenti e quant'altro e bruciarli sotto l'albero della libertà per contrastare i loro avversari politici. Basta leggere le testimonianze dell'epoca, sia da parte giacobina che da parte savoiarda, che concordano su questi atti di violenza compiuti dai giacobini eporediesi in città e contemporaneamente a Torino.

Qualcuno potrebbe citare Mao Tse Tung che diceva: “La rivoluzione non è un pranzo di gala”. Solo che qui occorre spiegare che ad Ivrea non si trattò di rivoluzione ma di un sopruso compiuto da una parte della nobiltà locale contro i propri avversari politici. Questi erano i giacobini canavesani che non rappresentavano il popolo ma solo se stessi, spalleggiati dalle occupanti truppe francesi. Tant'è che le loro politiche dogmatiche e completamente fuori dal contesto sociale di quel periodo sfociarono in meno di due anni nella rivolta degli zoccoli che vide il 14 gennaio 1801 l'uccisione di cento-trecento rivoltosi (le fonti discordano sul numero dei morti), da parte delle truppe francesi presenti in città. Fu la fine del giacobinismo locale anche se Ivrea non ha mai voluto ricordare questi morti. Ma far passare i Citoyens come simbolo di libertà è un po' troppo. Dispiace per chi con tanto entusiasmo si è prestato ad interpretare il ruolo di popolano ma la narrazione che li legittima è funzionale alla narrativa che da anni Francesco Gioana continua a tenere di un Carnevale cittadino. Anche quando tratta delle sue radici non perde il vizio di raccontarle sotto l'aspetto cittadino.

Esemplare in questo senso quando definisce le mascherate medievali “feste” mentre queste erano molto più vicine a quanto lo scorso lunedì e martedì grasso hanno rappresentato i Maimulu di Gairo. Queste mascherate, compiute dai ragazzi di Ivrea il Sei e il Sette dicembre non erano divertimento o ricreazione ma incutevano timore, paura, spavento. Ribadiamo: erano riti religiosi e non feste anche se si svolgevano nelle festività di San Nicola e Sant'Ambrogio. Non ci si deve stupire poi se qualcuno scrive che il Carnevale nasce nel 1808 quando nei giornali e nelle riviste locali la stragrande maggioranza degli articoli (compresa la rivista curata da Francesco Gioana) riguarda quasi esclusivamente gli ultimi duecento anni e se si accenna a quanto accaduto in precedenza lo si fa con una mentalità che è quella della narrazione ottocentesca. Qualcuno potrà ribadire: ma così facendo non vi mettete anche voi nel ruolo di fustigatori? Non lo abbiamo mai fatto e questo intervento è compiuto da studiosi che da tempo cercano di evidenziare come la continua trattazione del carnevale ottocentesco abbia ulteriormente stravolto la comprensione del rito e della festa. Non riteniamo che i nostri studi mettano la parola fine alle ricerche sul Carnevale. Anzi speriamo che in un prossimo futuro qualcun altro rintracci altri documenti ed elabori una nuova “narrazione” aiutandoci a comprendere che anche quanto da noi scoperto e raccontato è parziale. E' il bello della ricerca storica». (Gabriella Gianotti-Danilo Zaia).