La «bastarda» di Salassa non esiste. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado sul processo Minotauro, i giudici hanno smontato la tesi dell'accusa secondo la quale a Salassa e nei Comuni limitrofi, operava una locale dell'ndrangheta distaccata. Una struttura non autorizzata dagli organismi di vertice della ‘ndrangheta calabrese, all'interno della quale, secondo la procura, agivano Antonino Occhiuto, Valerio Ierardi e Antonino Versaci. Il primo è stato condannato a 4 anni e mezzo di carcere. Gli altri due sono stati assolti.
Secondo i giudici Paola Trovati, Diamante Minucci e Alessandra Salvadori, della quinta sezione penale di Torino, non bastano alcune intercettazioni telefoniche per definire l'esistenza di una locale dell'ndrangheta. «In una conversazione - scrivono i giudici - risulta che tale struttura farebbe capo alla famiglia Occhiuto, ma non vi sono in atti indicazioni sul fatto che, trasferendosi in Piemonte, l’imputato abbia creato una locale, propaggine di quella di cui si ritiene facesse originariamente parte». Nemmeno le deposizioni del pentito Rocco Varacalli (dalle quali ha preso spunto la procura per avviare l'indagine Minotauro) sono servite a chiarire la presenza e l'influenza della bastarda sul territorio.
Secondo i giudici, «anche qualora si fosse giunti a dimostrare la sussistenza di una locale bastarda, essa, proprio per le sue caratteristiche, non avrebbe potuto essere considerata una articolazione territoriale dell’associazione di cui al capo 1 (associazione di stampo mafioso ndr), ma sarebbe stata una associazione staccata ed autonoma».