Il riassunto della sentenza Minotauro (di primo grado) in cinque rapidi punti. Dopo due anni di processo è chiara la presenza dell'ndrangheta in Canavese? Alla luce delle sentenza aveva senso sciogliere l'amministrazione di Rivarolo per (presunte) infiltrazioni mafiose?
LA 'NDRANGHETA ESISTE - 33 condannati in primo grado, più una settantina di affiliati che hanno patteggiato. Qualcosa in più di una seplice associazione sportiva. L'ndrangheta c'è. In provincia di Torino come in Canavese. Il processo lo ha sancito a chiare lettere. I boss delle locali sono stati tutti condannati (martedì inizia l'appello per Bruno Iaria che, in primo grado, ha preferito patteggiare). Resta solo da chiarire chi ha preso il loro posto negli ultimi due anni. Il fenomeno è più ampio di quanto si possa immaginare. E, soprattutto, ha dimostrato di sapersi mimetizzare piuttosto bene.
LA POLITICA E' OUT? - Dalle carte del processo è emerso che l'ndrangheta è presente ma non vive di sola commistione con la politica. Anzi, se si fa eccezione per la pesante situazione di Leinì (dove l'ex sindaco è stato condannato a dieci anni di reclusione) non ci sono amministrazioni comunali direttamente coinvolte nell'operazione Minotauro. Caso mai il processo ha confermato che l'ndrangheta ha il monopolio dello spaccio in tutta la provincia di Torino, vive (in alcuni casi) con la prostituzione e il gioco d'azzardo. Senza contare le estorsioni e il "pizzo" che alcuni affiliati hanno sempre continuato ad incassare.
RIVAROLO PUNITA - La città di Rivarolo ha pagato per tutti. La commissione d'indagine ha scoperto una gestione della macchina comunale decisamente allegra. "Al limite della regolarità" come, probabilmente, avrebbe scoperto in decine di altri Comuni del Canavese. Basta però il solo sospetto per commissariare un Comune. E con il segretario comunale arrestato per voto di scambio e concorso esterno, di sospetti ne sono venuti a galla parecchi. Caduta l'accusa mafiosa per Antonino Battaglia, non si può tornare indietro. Il Comune rimarrà commissariato fino al prossimo anno. Anche se, allo stato delle cose, diventa più difficile credere nelle motivazioni dell'allora ministro dell'interno Cancellieri.
BASTARDA A CHI? - La sentenza di primo grado ha smantellato la "bastarda" di Salassa. Nel senso che la ndrina non riconosciuta dalla "casa madre" calabrese, non è stata nemmeno riconosciuta dal tribunale. Di fatto è come se non esistesse. Persino il presunto capo se l'è cavata con una pena lieve (almeno rispetto alle richieste dei pm). Segno che almeno una parte dell'indagine, quella che riguardava l'area canavesana, si è dimostrata lacunosa.
OCCHI APERTI - La sensazione, ben chiarita anche dalle parole dell'ormai ex procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, è che il processo Minotauro sia solo il primo capitolo di un lungo lavoro a tappe che la procura sta faticosamente portando avanti insieme alle forze dell'ordine. Non a caso all'operazione Minotauro del giugno 2011 sono seguite altre due importanti inchieste (una a Chivasso e una Giaveno) che hanno portato alla luce altri aspetti legati alla 'ndrangheta. La prima spallata all'organizzazione criminale è stata inflitta. Non sarà l'ultima.