Nella notte, tra Torino e Reggio Calabria, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino hanno arrestato, su ordinanza di custodia cautelare della Direzione Distrettuale Antimafia, venti persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso (‘ndrangheta) finalizzata ad estorsioni, usura, traffico di droga e gestione di bische clandestine. Sono state contestualmente eseguite 41 perquisizioni domiciliari e sequestri di beni. Particolarmente pesanti gli atti intimidatori: in un caso è stata inviata a una vittima di estorsione una testa mozzata di suino, con l’avviso che la “prossima sarebbe stata la sua”.
L’operazione è stata denominata “Big bang”, dal nome di uno dei locali gestiti dal sodalizio. L’attività d’indagine si è sviluppata a partire dal giugno 2014 con sistemi tradizionali e senza il supporto di collaboratori di giustizia. La Procura della Repubblica e i Carabinieri sono partiti dall’attività di traffico di stupefacenti organizzato dai fratelli Adolfo e Aldo Cosimo CREA, inizialmente detenuti perché tratti in arresto l’8 giugno del 2011 nel corso dell’operazione “Minotauro”, accertando che gli indagati comunicavano tra di loro sia con i cosiddette “pizzini”, che con puntualità venivano distrutti subito dopo essere stati letti dai destinatari, sia con smartphone di ultima generazione. Sono state intercettate oltre 263mila telefonate.
In particolare, già dal carcere di Voghera e poi all’atto della loro remissione in libertà (avvenuta nel mese di febbraio 2014 per Aldo Cosimo CREA e nel mese di Giugno 2015 per Adolfo CREA) i due citati fratelli, considerati espressione di vertice nel capoluogo piemontese della “Ndrangheta reggina, entrambi con il grado di “padrino”, hanno aggregato pregiudicati già noti, parenti e nuovi giovani emergenti nel contesto criminale cittadino, avviando attività tipiche del controllo mafioso del territorio.
L’auspicio della Procura – che a tal fine autorizza la diffusione di spezzoni di filmati realizzati durante le indagini - è che altre vittime di questi odiosi atti minatori trovino la forza di denunciare quanto subìto, invitandoli ad assumere l’atteggiamento che rappresenta il solo modo di arrestare e vincere il diffondersi della cultura mafiosa anche in Piemonte.