Bruno Iaria, il boss dell'ndrangheta a capo del locale di Cuorgnè, ieri ha risposto ai quesiti delle difese nel corso del processo d'appello per l'inchiesta Minotauro. Quello che, per gli inquirenti, era al comando dell'organizzazione criminale che aveva il controllo dell'alto Canavese, in tribunale ha smentito l'esistenza stessa dell'ndrangheta. «Sono solo un lavoratore - ha ripetuto davanti ai giudici - per me locale è una discoteca, un ristorante, un nightclub».
 
Nega tutto, insomma, nonostante una condanna a 14 anni di carcere e una serie infinita di intercettazioni. Proprio dalle sue parole, registrate dai carabinieri con una microspia, sono partiti gran parte degli accertamenti che, dopo cinque anni di indagini, hanno portato agli arresti della Minotauro. L'unico accenno di "sorpresa", dalla sua voce, quando gli viene chiesto della "bastarda", la locale non riconosciuta dell'ndrangheta. Nemmeno Bruno Iaria sarebbe stato a conoscenza della sua esistenza (e nemmeno il tribunale, in primo grado, ne ha effettivamente riconosciuto l'attività).
 
Su Nicodemo Ciccia, suo fedelissimo nella locale di Cuorgnè e oggi collaboratore di giustizia, Iaria ha fatto presente che dietro la sua scelta c’era la disperazione. «Aveva debiti, la moglie lo aveva lasciato. Posso capirlo ma non lo condivido. Io la notte dormo tranquillo, lui no perché ha detto falsità». Bruno Iaria ha anche rivelato che gli inquirenti, qualche anno fa, gli hanno chiesto di collaborare con la giustizia: «Ma io ho risposto di no».