Il processo d’appello dell’operazione Minotauro è da rifare. Non è stata provata l’esistenza dell’ndrangheta. Lo dice il procuratore generale di fronte alla seconda sezione della Corte di Cassazione, a Roma, dove si sta celebrando il terzo grado di giudizio per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Il procuratore generale ha chiesto l’annullamento del processo con il rinvio a un’altra sezione d’appello. La sentenza è attesa il 23 febbraio.
Si rischia quindi un appello bis ma con un dettaglio devastante per le indagini condotte quattro anni fa dalla procura di Torino che hanno portato alla luce le infiltrazioni dell'ndrangheta anche in Canavese: manca, secondo il procuratore della Cassazione, la prova che esista l’associazione mafiosa. Il processo Minotauro, in tal senso, rischia di crollare come un castello di carte.
Su questo tema la Cassazione si era già espressa due anni fa annullando la sentenza di condanna a carico di altri due imputati di Minotauro: Francesco D’Onofrio e Michele Tamburi. «Non è dubitabile che si siano verificati fatti di intimidazione indicativi dell’esistenza di un’organizzazione criminale riconducibile a soggetti di origine calabrese e persino di tipo mafioso - scrivevano allora i giudici - ma manca l’attività di cosche in un contesto organizzato». Anche il legame con le famiglie della Calabria, secondo il procuratore generale, non sarebbe dimostrato.
E' ovvio che un'interpretazione di questo tipo manda a monte l'intero lavoro portato avanti dalla procura e dai carabinieri sulle infiltrazioni mafiose in Piemonte e in gran parte del Canavese. Sono 50 le condanne che rischiano di essere cancellate dalla Cassazione con enormi ripercussioni sul processo d'Appello iniziato il 15 dicembre a Torino per i condannati in primo grado.