La Corte d’Appello di Torino ha restituito agli eredi di Giovanni Iaria il «tesoro» rappresentato dalle sue proprietà dopo la confisca di primo grado decisa dal tribunale nell'ottobre dell'anno scorso. Il ricorso era stato presentato in appello dalla figlia Bruna Marina, dalla moglie Eleodora Quezada Taveras e dalla cognata Caterina Nucera. La procura, che era riuscita a far confiscare i beni nell'ambito del processo Minotauro contro l'ndrangheta, farà ricorso in Cassazione. Anche in virtù del ruolo centrale che Giovanni Iaria, secondo le indagini, avrebbe assunto in Canavese nei rapporti con la criminalità organizzata.
Secondo le stime il valore dei beni restituiti agli eredi sfiora i nove milioni di euro. Auto, conti correnti, appartamenti e la "famosa" villa di via Salgari a Cuorgnè. Il coinvolgimento di Giovanni Iaria venne a galla proprio grazie all'inchiesta Minotauro dove, in primo grado, fu condannato con rito abbreviato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Incassò una condanna a 7 anni e 4 mesi. Non fece in tempo ad arrivare al processo d'Appello perché morì nel carcere di Asti, per un infarto, il 12 febbraio 2013. Originario di Condofuri, una volta al confino a Cuorgnè aveva iniziato a lavorare come imprenditore edile diventando addirittura assessore in Comune e vicepresidente provinciale del Psi.
Secondo la corte d'Appello che si è pronunciata sul ricorso della famiglia, Iaria, avrebbe fatto parte della ‘ndrangheta in Canavese dal 2000, «ma non risultano indicazioni che dimostrerebbero la contiguità del boss con ambienti criminali in epoca precedente, gli anni Settanta, ossia quando vennero edificati gli immobili oggetto di confisca».