CHIVASSO - Condanna definitiva per Domenico Alvaro, 46 anni, originario di Palmi, che si autodefiniva «il capo» della locale di 'ndrangheta attiva nel territorio di Chivasso. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 14 anni di carcere pronunciata nel 2022 dalla Corte di appello di Reggio Calabria. Alvaro era stato intercettato il 5 giugno 2014 durante un summit della 'ndrangheta in un casolare vicino a Sinopoli mentre si autodefiniva «il capo» della locale di Chivasso, dove all'epoca risultava residente. Domenico Alvaro, infatti, ha gestito a lungo a Chivasso una rivendita di frutta e verdura in via Roma, vicino alla stazione ferroviaria cittadina.
Secondo la difesa, Alvaro, seppur consapevole di operare in un contesto deviante, non avrebbe avuto coscienza del ruolo apicale a lui intestato, né avrebbe svolto oggettivamente tali compiti. Non sarebbe affatto dimostrato che a Chivasso esistesse un locale di 'ndrangheta, né sarebbe dimostrato sul piano oggettivo-funzionale che Alvaro vi svolgesse funzioni direttive.
Per i giudici, invece, la conferma della posizione eminente di Alvaro si ritrae dai contenuti della famosa intercettazione ambientale del 5 giugno 2014, di cui è parte una precisa conversazione in cui l'imputato si arroga espressamente una tale posizione con riferimento al suo operato in locale, mostra di disporre dei mezzi e degli uomini per poterla esercitare, nonché se la vede riconoscere dal suo interlocutore. «Ed è bene ricordare - scrivono i giudici - che, in seno ad un'associazione per delinquere, capo non è solo il vertice assoluto dell'organizzazione, quando anche questo esista, ma chiunque abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati o da realizzare». La sentenza contiene un riferimento anche a una attività di bagarinaggio dei biglietti delle partite della Juventus del quale Alvaro si sarebbe occupato «in proprio» e non come affiliato alla 'ndrangheta.