La 'ndrangheta esiste. In Canavese e in tutta la provincia di Torino. La sentenza della seconda sezione penale della Corte di Cassazione, depositata nei giorni scorsi, oltre a confermare le condanne a vari esponenti dell'ndrangheta, ha messo la parola fine al dubbio se gli arrestati e condannati nell'ambito dell'operazione Minotauro potessero o meno far parte di un'organizzazione mafiosa radicata. «La prova degli elementi caratterizzanti - scrivono i giudici - è stata desunta dal presentare il sodalizio tutti gli indici rivelatori del fenomeno mafioso, quali la segretezza del vincolo, i rapporti tra gli adepti, il rispetto dei rapporti gerarchici, l'accollo delle spese di giustizia da parte della cosca, il diffuso clima di omertà interna. Altrettanto significativo è l'ulteriore indice rivelatore desumibile dalla derivazione storica e dai permanenti rapporti con la casa madre, la cui mafiosità appartenga al notorio e sia già stata dimostrata in sede giudiziaria».
 
I giudici della Cassazione hanno preso alcuni esempi principe per descrivere la situazione. Tra questi l'episodio delle «pizze non pagate presso l'esercizio denominato Royal e la spiegazione datane da Iaria Bruno al suo giovane parente Iaria Brunello, a testimonianza del ferreo controllo esercitato sui commercianti di Cuorgnè, intimiditi al punto tale da essere diventato per loro consueto il non esigere dagli esponenti dell'associazione il pagamento delle merci dal loro prelevate».
 
A dimostrazione della situazione di diffusa omertà la sentenza ha evidenziato che in molte occasioni gli imprenditori della zona o non hanno mai denunciato i delitti di cui sono rimasti vittima o lo hanno fatto solo dopo l'arresto dei relativi autori. Altre analoghe vicende citate dai giudici nella sentenza sono state quelle dei pubblici esercizi Open Gate di Alpette e Kiss One di Borgiallo. Preso in esame anche l'omicidio di Giuseppe Trapasso, ucciso tra il 15 e il 16 ottobre 2008 proprio a Borgiallo.