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«A trent'anni dal passaggio della nube radioattiva sul Nord Italia, originata dall’incidente avvenuto alla centrale nucleare di Chernobyl, si rilevano ancora in Piemonte tracce di quell'evento. E' infatti presente nell'ecosistema il Cs-137, il cesio, un isotopo radioattivo artificiale prodotto dalla fissione nucleare dell’uranio con una vita di circa 30 anni». Lo ha confermato l'Arpa Piemonte, oggi, nell'anniversario del drammatico incidente alla centrale nucleare di Chernobyl (mappa aggiornata della fotogallery). Segno tangibile di quanto un disastro di quelle proporzioni porti con sè problemi e disagi per tanto, tantissimo tempo.
 
Il Cs-137 si rileva in particolare nei suoli e, di solito in minor concentrazione, in alcune matrici alimentari (latte, carne, frutti di bosco). I livelli più elevati possono essere rinvenuti nella selvaggina e in alcune specie di funghi. Si tratta comunque di quantità che non danno luogo a dosi significative alla popolazione se confrontate con la normale esposizione alla radioattività naturale. In generale, si valuta che in media il contributo della radioattività artificiale è inferiore all'un per cento della dose globale di radiazioni assorbita dalla popolazione a seguito dell'esposizione a radioattività naturale.
 
La mappa del cesio 137, che Arpa ha aggiornato pochi mesi fa, conferma le zone di Ceresole e la Val Soana, tra quelle più colpite dalla nube radioattiva. Proprio nel cuore del parco Nazionale del Gran Paradiso. Non ci sono pericoli per la popolazione ma le conclusioni alle quali sono giunti gli esperti sono comunque inquietanti: le ricadute per l’ambiente, infatti, anche a distanza di trent'anni, sono ancora enormi. E questo nonostante il Canavese sia distante migliaia di chilometri dalla centrale nucleare. Il monitoraggio straordinario, due anni fa, ha coinvolto diverse aree alpine dove sono stati prelevati e successivamente analizzati campioni di suolo, acque superficiali, funghi, frutti di bosco e latte di alpeggio, per un totale di circa 170 campioni. 
 
La «leggenda», secondo la quale, grazie ad una pioggia battente, una consistente dose di sostanze radioattive cadde sui rilievi alpini del Canavese, ha trovato piena conferma nelle analisi dell’Arpa. Ad aver assorbito la quantità maggiore di radiazioni, secondo i dati, alcune qualità di funghi tra le più presenti nelle vallate canavesane. L’indagine ha preso spunto dal ritrovamento  in Valsesia, in provincia di Vercelli, di 27 cinghiali con tracce di cesio nella lingua e nel diaframma. Nessun dato, per fortuna, sfiora neppure lontanamente i valori d’allerta.